Vi scrivo dal buio ha come protagonista Pauline Dubuisson, una giovane donna francese esistita realmente, divenuta suo malgrado famosa in seguito alla condanna nel 1953 per l’omicidio del suo ex fidanzato Félix Bailly. L’autore, Jean-Luc Seige, si immagina il contenuto dei quaderni che Dubuisson ha effettivamente lasciato, ipotizzando cosa possa avere scritto in essi e riportandoli come se il romanzo fosse il diario di Pauline, scritto dunque in prima persona. Il libro comincia con la protagonista che, dopo la Liberazione, si è rifugiata in Marocco per cercare quella quiete che in patria le è negata a causa del clamore suscitato dal suo caso giudiziario (trasposto al cinema in un film con Brigitte Bardot). Il memoir torna agli avvenimenti passati cercando di chiarire le circostanze che hanno portato al delitto: Pauline afferma infatti che nessuno conosce la verità perché non l’ha mai detta, nemmeno in tribunale.
Il Marocco rappresenta per lei un’occasione non per ricominciare la sua vita, ma per rinascere; l’incontro con Jean sembra annunciare la possibilità di lasciarsi tutto alle spalle: “In questi ultimi due anni a Essaouira sono riuscita a vivere il miracolo degli inizi che non finiscono mai”. Quando il ragazzo, ignaro del suo passato, le chiede di sposarlo, Pauline teme la sua reazione quando scoprirà le verità e comincia a scrivergli raccontandogli tutti i fatti salienti, utili a comprendere la sua persona e le sue azioni.
Jean, scrivo questo quaderno per te. Mi chiamo Pauline Dubuisson e ho ucciso un uomo. Ma nessuno nasce assassino. Quindi c’è da credere che il crimine sia come la poesia, conseguenza di cose misteriose e incontrollabili.
Viene così narrata la vita della protagonista, a partire dall’infanzia. Si capisce subito che centrale è il suo legame col padre (che si ucciderà dopo l’omicidio commesso dalla figlia): un amore silenzioso ma immenso, una venerazione senza condizioni, un rapporto frustrato nella quotidianità dalla sua impossibilità. Veramente toccanti le parti in cui questa relazione si innesta in situazioni che nascondono un erotismo sottile, desiderato e respinto al tempo stesso, sempre pronto a cadere nel sordido ma attento a non farsi scoprire, a rimanere nei limiti della decenza. L’affiorare dell’inconscio, ed il contrasto con le aspettative della società nei confronti di una giovane donna, segneranno però Dubuisson inevitabilmente. Si percepisce infatti, pur nel tono pacato che ella tiene, un qualcosa di oscuro che si cela nella profondità delle sue parole: il fulcro di tutto, al quale Pauline non riesce ad arrivare direttamente, ma solo per lunghi giri nel suo “labirinto di ricordi”.
Le pagine più belle sono proprio quelle in cui la donna racconta dello strano triangolo tra lei, il padre e la madre: Seige ha saputo scrivere con precisione il diario della delusione di una ragazza educata ma piena di turbamenti. Con altrettanta grande lucidità Dubuisson ricorda i momenti drammatici in cui alla fine del conflitto la rabbia della gente scavalcò il senso di giustizia accanendosi su chi, come lei, non meritava trattamenti disumani: “colpevole” di aver lavorato in un ospedale che curava (anche) i tedeschi e di aver avuto una relazione col primario, Pauline sarà vittima della vendetta cieca del paese. Arriviamo così alla straziante descrizione dello stupro collettivo, una ferita che, assieme all’umiliazione pubblica e alla rasatura di fronte ai concittadini, non sarà mai risanata. Pauline, pur mantenendo la propria dignità di fronte alle asperità, ne esce sconfitta.
Ciò che tutti hanno chiamato Liberazione è stato per me l’inizio di un’altra guerra che ho condotto da sola fino a stasera.
L’accanimento nei suoi confronti, l’odio quasi morboso dimostrato da tutti durante il processo, deriva dai quei giorni successivi al conflitto ed influiscono sull’opinione che la gente si fa di lei: additata come una sgualdrina collaborazionista (è stata un’adolescente precoce che sfogava nel sesso con gli sconosciuti la sua rabbia inesprimibile e incomprensibile a lei per prima), la sua vita viene appiattita e ridotta all’omicidio; Pauline viene dipinta come una fredda e cinica manipolatrice, un amante del sangue per la quale viene chiesta la pena di morte. Sullo sfondo c’è una Francia bigotta in cui, paradossalmente, assumersi la responsabilità premeditata di un assassinio è uno dei pochi modi che ha una donna per affermare la propria autonomia, il proprio status di persona, alla pari degli uomini.
Per tutta la vita non ho sognato altro che essere posseduta da un uomo.
Le parole di Pauline, soprattutto nel finale, diventano una penetrante elegia di morte, una preghiera anelante la pace liberatoria. Il racconto della vita della protagonista arriva finalmente al momento decisivo, l’uccisione di Félix, che ora ci appare sotto un’altra luce, che da una parte illumina e dall’altra mostra le zone d’ombra: questo libro non è un noir, il che ci potrebbe portare a discutere su quanto quell’etichetta possa essere più o meno giustamente applicata ad ogni romanzo la cui trama abbia tracce di delitti o violenze, ma quello che è certo, senza impegnarci oltre in questa analisi, è che le atmosfere di Vi scrivo dal buio sono cupe e che Pauline Dubuisson è un personaggio capace di parlare delle oscurità che si celano dietro le convenzioni sociali, nelle pieghe della storia e dentro ognuno di noi.
Mi domando se si può scrivere altrimenti che dal buio, da quell’opacità che solo scrivendo rivela ciò che nasconde.
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- Seigle, Jean-Luc (Autore)