In occasione della nomina a finalista della sestina nella 61 edizione del Premio Bancarella 2013, si ritorna a parlare di uno dei commissari più amati dalla letteratura italiana, ovvero Luigi Alfredo Ricciardi protagonista del romanzo Vipera. Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni. Lo recensiamo oggi su Thriller Café.
Titolo: Vipera – Nessuna resurrezione per il commissario Ricciardi
Autore: Maurizio De Giovanni
Editore: Einaudi
Anno: 2012
Maurizio De Giovanni è entrato a tutti gli effetti nel novero dei giallisti più acclamati del nostro paese grazie al suo commissario. Anche se a dirla tutta definire ‘gialli’ i suoi romanzi non è il termine più adatto, perché, a parte essere una connotazione di genere puramente nostrana (dai gialli di una nota casa editrice per la loro copertina), i colori dei romanzi di questo autore partenopeo sono tanti come quelli che caratterizzano la sua città, Napoli. Una Napoli del 1930, quella di Ricciardi satura di colori: c’è il blu del mare, il grigio delle giornate di pioggia, ci sono i colori dei cibi rappresentativo degli affetti familiari celebrati in occasione della festività della Pasqua, anche se la Quaresima impone delle rinunce, ma non manca neanche il rosso della passione, quella che si vive ne “Il Paradiso” e quella più velata che lega Ricciardi alle tre donne della sua vita. E poi c’è il nero, quello delle giubbe del regime e quello che si trova nell’animo di ogni individuo e che solo Ricciardi può comprendere appieno grazie alla sua “maledizione”. Sì perché ci sono coloro che quel “nero” lo celano all’interno del proprio umore, del loro tenersi scostanti alla vita, ma ci sono altri, quelli con cui avrà a che fare il commissario, che quel nero lo portano al di fuori, e che li condurrà a commettere delitti come a liberarsi di un peso che l’anima non può più contenere. Una Napoli dunque in cui la vivacità delle persone e la confusione degli ambulanti che richiamano a gran voce i passanti si alternano a squarci di una città più complicata, assoggettata al regime fascista che deve presentare la città come luogo idilliaco agli occhi del Duce. In fondo gli anni trenta sono preludio dell’ascesa del totalitarismo, in cui il governo detta le regole vincolando comportamenti e libertà di pensiero. Una Napoli che a fatica vuole essere comandata, che a stento riesce a contenere la propria dinamicità e lo deve fare nello slancio delle proprie opinioni… e chi non lo fa ne paga le conseguenze come avviene in questa vicenda per il dottor Modo, fedele compagno d’avventura del commissario Ricciardi. Teatro della storia sarà una casa di tolleranza, “Il Paradiso” appunto, in cui si consuma un delitto, luogo in cui i pudori vengono lasciati fuori e l’amore è comprato per poche lire. Un amore che seppur in un contesto retrogrado non viene svilito e sfruttato come avviene invece ai giorni nostri. Una delle donne più apprezzate e più belle del casino, viene trovata soffocata da un cuscino, eppure l’ultimo cliente dichiara di averla lasciata ancora in vita. Sono tante le ragioni per cui qualcuno vorrebbe la donna, Maria Rosaria Cennamo detta Vipera, morta. Ricciardi ama il suo lavoro eppure ogni volta che si trova davanti a una morte violenta, una parte di sé deve accettare l’ingiustizia per una vita spezzata. Una vita che nella sua testa continuerà a reclamare giustizia fino a quando anche l’anima del defunto troverà pace accompagnata dall’ultimo soffio di vento. Una condanna quella che vive Ricciardi, empatica, che lo fa sentire diverso dagli altri uomini e che condiziona ogni sua relazione con il prossimo. Sì perché sembra che Ricciardi abbia paura ad avvicinarsi alle persone, è come se quella morte a lungo perpetrata nella sua mente, possa farlo sentire colpevole nel provare amore nei confronti di chi gli sta intorno, perché questo significherebbe patteggiare per la vita piuttosto che commiserarne la dipartita. O forse Ricciardi è solo un romantico, troppo timido per lasciarsi andare? Un romanzo che riesce a regalare immagini di un tempo passato, una Napoli quella dell’autore, autentica e per certi versi tanto vera da risultare scontata. Molti scrittori tendono a prendersi delle libertà a favore della trama, cosa che De Giovanni non fa, perché ogni dettaglio è stato studiato, valutato e inserito con perspicacia all’interno della narrazione. Le morti in cui si imbatte il commissario sono dettate da una forte sofferenza, da un sentire così grande da portare ad uccidere, ma senza l’efferatezza di una violenza fine a se stessa perpetrata per potere o per denaro. Così che anche il crimine in questi romanzi d’ambientazione storica diventa quasi un pretesto, un modo diverso di raccontare il passato di un paese e celebrarne le tradizioni.
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Articolo protocollato da Arianna e Selena Mannella
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