Un romanzo intenso, originale, grandioso per le emozioni che suscita. “Whalefall” è rabbia, senso di perdita, tensione, commozione, comprensione. È un’avventura nel mare, oltre ogni limite, in un luogo senza confini che fa sentire liberi e insignificanti insieme, una casa liquida che l’autore ha usato, colorato e reso al lettore in modo tridimensionale per parlare di famiglia, di legami e di perdita.
Jay ha diciassette anni e da due non vive più a casa. Il rapporto turbolento col padre l’ha portato a scappare, ad allontanarsi e a non tornare nemmeno quando Mitt, suo padre, ha chiesto più volte di rivederlo prima di morire per un tumore. Ma Mitt non è morto in un letto, ha scelto di usare le sue ultime forze per suicidarsi, annegandosi in mare.
Dopo alcuni mesi da un funerale farsa, perché il corpo del genitore non è mai stato ritrovato, Jay decide di immergersi dove il padre si è lasciato morire, per recuperare le sue ossa, qualunque resto riesca a trovare. Vuole fare ammenda, dare pace alla madre e alle sorelle, dimostrare di essere degno del grande uomo che gli ha dato la vita, rovinandogliela poi nel corso degli anni. Nell’immersione Jay finisce nella bocca di un capodoglio e nel suo stomaco e qui, in lotta per la vita, comprenderà finalmente cos’era il legame che lo univa al padre.
“Whalefall” è un romanzo incredibile. Da subito mostra la sua struttura mista, tra ricordi del passato scritti in capitoli titolati dall’anno in cui gli eventi narrati sono accaduti e il presente, in parti che sono un conto alla rovescia scandito dal contenuto di aria della bombola per immersioni subacquee: si parte da 207 bar e si arriva fino a 0.
L’opera procede in crescendo. L’inizio dove Jay inizia a raccontare in prima persona se stesso, la sua famiglia e soprattutto il padre, ha un ritmo blando. Si entra in un mondo di conflitti parentali. Jay e Mitt sono padre e figlio, pianeti che parlano la stessa lingua ma sanno solo entrare in conflitto. Jay cerca l’amore e l’approvazione di Mitt, che risponde con ruvidezza, durezza, quasi imbarazzato da quel ragazzino smilzo e gracile che educa al mare e ai suoi misteri. Jay racconta di una spaccatura sempre più profonda che lo porta prima ad allontanarsi e poi a decidere di affrontare una pericolosa immersione in solitaria.
In queste pagine non c’è solo famiglia e sentimenti, ma anche nozioni, informazioni su cosa significa essere un sub, dalle attrezzature agli accorgimenti, fino alla bellezza del mondo sottomarino. Nella narrazione sono inseriti con interessante bilanciamento pericoli e accortezze necessarie alla sopravvivenza del sub, informazioni che piaceranno a chi fa immersioni e incuriosiranno chi non le fa, dando a tutti gli strumenti necessari per seguire la storia. Quando si entra nella bocca della balena ecco che parte la tensione, il brivido, in un’azione ricca di adrenalina. È l’intensità del thriller, il ritmo dell’avventura, ma non fine a se stesso. Ogni pagina è impreziosita dalla profondità dei sentimenti, da una comprensione che emerge pian piano, in una miscela di passato e presente impattante per il lettore.
Anche qui non mancano nozioni e informazioni apprese da Jay durante gli anni. Chimica, fisica, una messe di strumenti che provengono in gran parte da Mitt, con l’apporto delle sorelle e della madre. Jay e chi legge, arriva pian piano a comprendere cosa significa essere famiglia: un gruppo di individui unici, che possono litigare e non piacersi più di tanto ma, quando c’è sincerità e cura, nonostante le differenze e le modalità non sempre perfette, si trova sempre la strada per far fluire quel qualcosa di necessario alla sopravvivenza e al miglioramento.
L’immersione di Jay, il tempo fornitogli dalla sua bombola di 207 bar è di un’ora e mezza. Poco eppure tanto. Più che sufficiente a regalare al lettore personaggi coi quali entrare in contatto, per gioire, soffrire e imparare a guardare a certe cose in modo diverso. È il percorso di Jay e di Mitt che diviene il cammino di ogni lettore. Un viaggio attraverso la sofferenza per migliorare.
Nelle letteratura abbiamo già incontrato persone ingoiate dalle balene. Dalla Bibbia a Pinocchio, fino alla lotta mortale di Moby Dick, esperienze mistiche di riconciliazione, miglioramento, ossessione. L’autore usa la balena per raccontare di padri e figli, di suicidio e di perdita, un modo suo originale e accattivante per mostrare una seconda nascita e il raggiungimento della comprensione.
Ambientato in mare, lo scritto non manca di lanciare messaggi ecologisti e naturalisti, che non lasciano indifferenti e insensibili.
Il libro insegna, intrattiene, commuove. È una lettura che cattura così tanto che sembra incredibile che il tempo narrato sia solo di un’ora e mezza, un’esperienza molto intensa.
Daniel Kraus è un premiato regista e scrittore statunitense. Ha vinto due Odissey Awards ed è entrato nella top 10 dei libri dell’anno di Entertainment Weekly. Tradotti in italiano troviamo il suo “Zucchero amaro” e in collaborazione con altri autori i titoli “La forma dell’acqua”, “Trollhunters” e “I morti viventi”.
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